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Andiamo ad approfondire il tema legate a questo punto controverso. L'Articolo 18 è uno degli istituti giuridici più discussi nel mondo del lavoro e fra i partiti. Sicuramente porta con sé un bagaglio storico non indifferente e, inoltre, tutela uno degli aspetti più importanti della vita dei cittadini, ovvero il lavoro.

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Grazie alla cosiddetta Riforma del Lavoro promossa, ormai anni fa, dal Governo Monti, l'art. in questione ha subito delle variazioni significative. Resta comunque l'unico strumento preposto alla “tutela reale” del lavoratore, ovvero alla possibilità di reintegro in caso di licenziamento illegittimo.

Cosa disciplina l'art. 18 dello statuto dei lavoratori?

L'articolo 18 dell'attuale Statuto dei Lavoratori italiani, va a determinare nel sistema contrattuale italiano la cosiddetta tutela reale, in particolare ne disciplina il caso in cui il licenziamento di un singolo lavoratore è da considerarsi non legittimo, in quanto effettuato senza averne comunicato le motivazioni, oppure perchè trattasi di licenziamento ingiustificato o discriminatorio.

La disciplina legata allo Statuto dei Lavoratori, riguarda in particolare i seguenti casi:

  • licenziamento nelle unità produttive in cui siano presenti più di 15 dipendenti, o 5 nel caso di unità agricole;
  • licenziamento nelle unità produttive in cui vi siano meno di 15 dipendenti – o 5 in caso di unità agricole – qualora l'azienda occupi in uno stesso comune più di 15 dipendenti – o 5 sempre nel caso di azienda agricola.
  • Licenziamento nelle aziende dove siano presenti più di 60 dipendenti

Fin dai primi anni del nuovo millennio, l'art. 18 è stato al centro delle attenzione e dei dibattiti da parte dei governi, che hanno cercato di effettuare diverse modifiche al suo contenuto, attraverso la proposta di riforme del lavoro. Questo ha portato molte volte a tensioni fra il Governo e le Parti Sociali, in particolare i sindacati, che si sono opposti sempre a qualsiasi tentativo di allentare la tutela dei lavoratori dipendenti.

Cosa tutela? 

L'articolo in oggetto tutela il lavoratore in caso di licenziamento. Infatti, nel caso questo si dimostri illegittimo, l'art. 18 impone all'azienda che ha commesso il torto, di reintegrare il lavoratore; oltre a questo, l'azienda deve pagare una sanzione pecuniaria. Si parla di reintegro e non di riassunzione, in quanto nel secondo caso, il dipendente si vedrebbe privato dei diritti acquisiti con il precedente contratto, compresa l'anzianità di servizio.

Se il licenziamento sia legittimo o meno è un onere che è completamente a carico dell'azienda, la quale deve far valere ad un apposito giudice del lavoro, le prove della fondatezza del provvedimento contro il dipendente. Il punto più controverso è l'obbligo di reintegro, che nel resto dei paesi europei non è affatto previsto.

Licenziamento per motivi economici secondo la prossima riforma

Per quanto riguarda il licenziamento individuale dovuto a motivi economici è previsto che, in caso le motivazioni siano ritenute valide, il lavoratore non ha diritto né al reintegro né all'indennizzo. Diverso il discorso nel caso sia applicato fino a 4 dipendenti in un periodo di 4 mesi. Infatti, qualora il giudice non ritenga valido quello che è il motivo economico presentato dall'azienda in sede di processo, il lavoratore avrà diritto ad un indennizzo economico pari ad un importo che va dalle 12 alle 24 mensilità, a seconda delle dimensioni dell'azienda e dell'anzianità del lavoratore. Il lavoratore non ha comunque diritto al reintegro in azienda, a meno che il giudice non ritenga le motivazioni della stessa “manifestamente insussistenti”. In ogni caso, resta valida la norma che lascia l'onere della prova a pieno carico dell'azienda.

Le novità previste sui licenziamenti

Il lavoro è una delle attività fondamentali per un individuo; ecco perché le informazioni che recentemente stanno uscendo fuori dalla riforma del mercato del lavoro sono sulla bocca di tutti e interessano tutti gli italiani.

La riforma sul mercato del lavoro del Governo Monti fu infatti volta ad attuare delle modifiche all'assetto fino a quel momento conosciuto del mercato stesso del lavoro, con alcune variazioni sulle tipologie contrattuali presenti e sui licenziamenti. Tutte le proposte di riforma del mercato del lavoro del Governo Monti vollero in primis cercare di ridurre il fenomeno del precariato in Italia attraverso manovre di flessibilità mirata in entrata e in uscita, al fine di agevolare l'ingresso nel mondo del lavoro. Grande interesse suscitarono poi le questioni legate all'articolo 18. Le principali novità erano previste sul versante dei licenziamenti. Ci furono infatti delle modifiche sui licenziamenti contenuti all'interno dell'articolo. In quel momento, le novità sui licenziamenti non dovevano essere rivolte ai dipendenti pubblici, ma a tutte le altre tipologie di lavoratori, soprattutto i privati.

Quando si licenzia un lavoratore: reintegro o indennizzo?

Secondo l'Articolo 18 un lavoratore può essere licenziato per giusta causa o giustificato motivo. Si tratta di giusta causa quando il lavoratore compie atti così gravi da minare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Le cause per giustificato motivo, invece, si dividono in soggettive – ovvero le situazioni di criticità causate da un comportamento del lavoratore stesso – e in oggettive – quando l'azienda in cui si lavora è costretta per motivi economici al licenziamento. Il lavoratore può appellarsi al giudice del lavoro nel caso in cui ritenga che il procedimento è illegittimo. Il giudice, a sua volta, deve valutare il contesto della decisione e valutare la bontà dell'intervento. La sentenza (il reintegro o la sola indennità) dipende dalla tipologia di licenziamento. Il licenziamento per motivi disciplinari avviene per la violazione degli obblighi contrattuali oppure nel caso di un illecito penalmente perseguibile. Secondo la precedente disciplina, il giudice ordinava il solo reintegro. La riforma, invece, ha portato il giudice a scegliere fra l'indennità (pari a una quantità di mensilità che va da 15 a 24) e, nel caso in cui la violazione non sia avvenuta, il reintegro.

Licenziamento per motivi economici

Avviene quando l'azienda è costretta, per esigenze tecniche ed economiche, a licenziare (non più di) 4 lavoratori. Secondo la precedente disciplina, il giudice aveva facoltà di ordinare il reintegro. Oggi questo avviene solo nel caso di “manifesta insussistenza” di queste esigenze; in caso contrario, è prevista solo un'indennità che varia dalle 15 alle 24 mensilità.

Licenziamento per motivi discriminatori

In questo caso, il giudice che dichiara infondato il licenziamento ordina all'azienda il reintegro immediato del lavoratore. La disciplina non cambia: il lavoratore può, infatti, chiedere al posto del reintegro un'indennità di 15 mensilità. Per snellire la burocrazia viene introdotta la conciliazione. In un momento di crisi, visto che il licenziamento ha un costo, le aziende tendono a diminuire le assunzioni perché temono gli eventuali e futuri costi di licenziamento. Questo non fa altro che diminuire l'occupazione e stabilizzare – per quanto possibile – i pochi lavoratori occupati.

Spezzare questo meccanismo porterebbe ad accrescere la flessibilità del mercato e rendere le aziende più inclini ad assumere. Uno dei problemi attuali è, infatti, l'enorme quantità di cause dovute al licenziamento. Per ovviare a questo problema, il nuovo Articolo 18 ha introdotto l'istituto della “conciliazione”. Si tratta di una procedura che si instaura non oltre sette giorni dall'allontanamento del lavoratore fra questi e l'azienda. Serve a raggiungere un accordo fra le parti evitando di demandarne la decisione al giudice. A questo, infatti, sono demandate numerose e complesse decisioni: scegliere fra reintegro e indennità, valutare la manifesta insussistenza, definire la tipologia di licenziamento (non sempre chiara).

Un po' di storia

Riforma del lavoro Monti: tra Europa e crisi

Art. 18 dello Statuto dei lavoratori

La Riforma del Governo Monti riforma prevedeva una profonda trasformazione del concetto di “occupazione” e di “concorrenza”, proprio per portare ai giovani un posto di lavoro vero. L’introduzione della questione “riforma del lavoro“ portò dunque anche ad un’analisi attenta dell’economia stessa rappresentata dall’Euro, che i cittadini italiani accusano per i rincari del costo della vita, i quali destano preoccupazioni quando si tratta di disagi dati dalla disoccupazione. “L’Euro, come moneta, non è in crisi” affermò il Presidente del Consiglio “molte volte raggiunge un valore maggiore del dollaro; la questione è che le Nazioni in crisi hanno avuto e hanno gravi squilibri nelle finanze pubbliche e nel mercato”.

In merito all’evasione fiscale, Monti persisterà sui controlli fiscali che si sono attuati a Cortina. “La ricchezza è un valore, non qualcosa di ignobile. L’italiano quando è ricco deve andarne fiero: bisogna solo applicare le tasse in modo equo alla ricchezza e alla proprietà privata dei cittadini più che benestanti, in modo che l’Italia riparta con la collaborazione di tutti”.

Rientro capitali: tra leggi elettorali e opinione pubblica

Per affrontare il duro periodo ed attuare la riforma del lavoro risollevando l’economia, il Capo del Governo si era già mobilitato per stabilire qualche negoziato con la Svizzera. A nome della Commissione Europea, il Premier era stato a Berna per discutere della tassazione del risparmio e dei suoi principi. “La Svizzera non è l’unico Paese che si occupa di rientro dei capitali e del capitale estero” affermò “ma era un punto di riferimento poiché guardava ai fondi esteri (compresi quelli italiani) con un occhio di riguardo. La politica e la fiscalizzazione in merito è cambiata, e bisognava agire di conseguenza”.

La riforma del lavoro implicava inoltre così tante attenzioni che secondo il Premier non era ancora tempo di affrontare elezioni. Pensava a riparare i contrasti tra le opposizioni: ''Più i partiti trovano il dialogo più questo clima si trasformerà positivamente anche sulla vita del Governo e dell’Italia” disse Monti “c’è ancora molto da fare, ma non so se mi ricandiderò, poiché sono estremamente orgoglioso dei miei ministri e lavorare in questa fase mi ha un po’ provato, ma staremo a vedere” concluse Monti, con un pizzico di positività in questo critico ed inevitabile realismo.

Governo Renzi e Job Act

Nonostante la riforma attuata dal precedente Governo Monti fosse stata tra le più discusse, non fu certamente l'ultima. Infatti, anche Matteo Renzi, all'epoca primo ministro, si era dato da fare per riformare tale legge introducendo il concetto di Jobs Act. Questa misura legislativa, promulgata nel 2014 e pienamente attiva dal 2015, fu pensata principalmente per affrontare le problematiche legate al mercato del lavoro, con particolare attenzione alla situazione dei giovani e alla tutela delle aziende.

La centralità dei giovani nel Jobs Act fu una risposta diretta alle sfide che l'Italia stava affrontando in quel periodo, con una generazione di giovani altamente istruiti ma troppo spesso incapaci di trovare opportunità di lavoro stabili e soddisfacenti. La riforma mirava a creare un mercato del lavoro più flessibile e reattivo, che potesse meglio adattarsi alle esigenze di un'economia moderna e in continua evoluzione.

Per quanto riguarda la tutela delle aziende, Renzi e il suo governo riconobbero l'importanza di creare un ambiente favorevole per le imprese. Comprendendo che le aziende svolgono un ruolo cruciale nella creazione di posti di lavoro e nella crescita economica, la riforma mirava a semplificare il quadro normativo e a ridurre gli oneri burocratici.

Uno dei punti chiave del Jobs Act riguardava le modifiche ai contratti a tempo indeterminato. In particolare, la riforma introdusse un nuovo tipo di contratto, noto come contratto a tutele crescenti, che mirava a bilanciare la necessità di offrire maggiore protezione ai lavoratori con quella di fornire alle aziende la flessibilità di cui avevano bisogno.

Scopri di più sull'argomento consultando il nostro articolo su cos'è il Jobs Act.

Tale contratto prevedeva un meccanismo di tutele che aumentavano con l'anzianità di servizio del lavoratore, sostituendo il precedente sistema di tutele fisse previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Questo nuovo approccio fu visto come un modo per incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato, dando alle aziende maggiore flessibilità nella gestione del personale.

Tuttavia, questa trasformazione non fu esente da polemiche. Molti esperti, sindacati e gruppi politici sollevarono dubbi sulla sua efficacia e sul suo impatto sui diritti dei lavoratori. Ma questa è una discussione che merita un articolo dedicato, per analizzare in modo approfondito tutte le sfaccettature di questa importante riforma.

Se sei interessato a conoscere tutte le possibilità contrattuali disponibili nel mercato del lavoro italiano, clicca qui e leggi questo articolo esaustivo che esamina i livelli contrattuali dedicati ai professionisti chimici.

Se vuoi garantire la tua sicurezza sul posto di lavoro, informarti sul ruolo dell'ispettorato del lavoro o direzione provinciale del lavoro.

Autore: Laura Perconti

Immagine di Laura Perconti

Laureata in lingue nella società dell’informazione presso l'Università di Roma Tor Vergata, Laura Perconti segue successivamente un Corso in Gestione di Impresa presso l'Università Mercatorum e un Master di I livello in economia e gestione della comunicazione e dei nuovi media presso l'Università di Roma Tor Vergata.

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