Il patto di prova: orientamento della giurisprudenza
Il patto di prova è il periodo precedente al vero e proprio inizio del contratto di lavoro. In questo periodo entrambe le parti hanno la possibilità di recedere dal contratto. Deve essere menzionato nel contratto di lavoro e consente alle parti di valutare reciprocamente i vantaggi e le caratteristiche del rapporto di lavoro. Questo periodo sarà soggetto a riforma, come previsto dal Governo Renzi, che vuole modificare l’intero settore del lavoro attraverso il Jobs Act. I tempi si potrebbero allungare di qualche anno e questo aspetto chiama in causa altri fattori, come il celebre Articolo 18.
La tutela dei lavoratori nel patto
Al fine di tutelare gli interessi del lavoratore, il patto di prova deve prevedere una durata massima, definita nel contratto di assunzione in base a quanto stabilito nel Codice Civile o nei CCNL. La giurisprudenza, attraverso leggi e sentenze della Cassazione ne disciplina diversi aspetti.
Vediamo di seguito i più importanti:
- La sentenza della Cassazione n. 14538 del 1999 e la n. 9536 del 1991 che definiscono il computo della durata del patto di prova. Nello specifico, se la durata del patto è definita in mesi le parti seguiranno il calendario comune.
- Altre sentenze (Cassazione 18/7/1998 n. 7087, Cassazione 24/10/1996 n. 9304) stabiliscono che la durata si determina in base all’effettiva attività svolta, senza tenere conto dei periodi di sospensione per determinati eventi quali malattia, gravidanza e puerperio, infortunio, permessi sciopero e ferie, considerando solo i riposi settimanali e le festività.
- In tutti i casi in cui sia necessaria una sospensione dello stesso, le parti potranno far riferimento al CCNL di riferimento.
I vari casi di recesso del patto di prova
- E' considerato illegittimo il recesso da parte del datore di lavoro che non abbia ancora verificato le competenze professionali del dipendente. In tal caso si fa riferimento alle Sentenze della Cassazione n. 4979 del 6/6/1987 e la n. 1387 del 8/2/2000.
- E' considerato illegittimo il licenziamento in questo periodo se riconducibile ad un motivo illecito o estraneo al rapporto di lavoro. In tal caso il dipendente ha il diritto di ottenere l'annullamento del recesso (Sent. Cass. 12/3/1999, n. 2228) o a terminare la prova ed ottenere la retribuzione relativa ai giorni residui del patto di prova.
- Il licenziamento in questo periodo può essere comunicato anche oralmente.
Altri casi in cui la giurisprudenza definisce i limiti di illegittimità del licenziamento in prova
La giurisprudenza è spesso intervenuta nella definizione e precisazione dei limiti e delle situazioni che determinano un licenziamento in fase di prova illegittimo.
Innanzitutto, l’art. 2096 del codice civile (C.C.) prevede la forma scritta per la stipula di un periodo di prova e in mancanza di questa, il patto di prova stesso può considerarsi nullo e l’assunzione del dipendente si può considerare definitiva. Segue una carrellata di casi giurisprudenziali in merito ai periodi di prova:
- In un impiego pubblico, il patto di prova può ritenersi strettamente limitato alla valutazione esclusiva dell’idoneità allo svolgimento delle mansioni del lavoratore e non altro in quanto la natura del patto stesso è legata alla sola valutazione che lo rende obbligatorio e non facoltativo (Tribunale di Milano, 26 gennaio 2012, Giud. Perillo pubblicato in Lavoro nella giur. 2012 - 413)
Inoltre, il patto di prova non costituisce una fattispecie negoziale in due tempi per cui si costituiscono due “contratti” separati di cui uno di prova e l’altro definitivo, bensì è da intendersi come atto unitario di rapporto di lavoro ordinario, produttivo, effettivo e definitivo subordinato all’esito della prova, per cui il contratto si intende come una prosecuzione al termine della prova e non come una costituzione del rapporto di lavoro dopo la prova.
Infine, è causa di nullità del patto anche l’assegnazione del lavoratore a mansioni non equivalenti a quelle per cui è stato assunto, così come la riduzione della retribuzione convenuta in sede contrattuale (Cass. civ., 26 novembre 2004, n. 22308).