Il patto di prova è il periodo precedente al vero e proprio inizio del contratto di lavoro. In questo periodo entrambe le parti hanno la possibilità di recedere dal contratto. Deve essere menzionato nel contratto di lavoro e consente alle parti di valutare reciprocamente i vantaggi e le caratteristiche del rapporto di lavoro. Questo periodo fu soggetto a riforma, come previsto dal Governo Renzi, che volle modificare l’intero settore del lavoro attraverso il Jobs Act. I tempi allungarono di qualche anno e questo aspetto chiamò in causa altri fattori, come il celebre Articolo 18.
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- La tutela dei lavoratori nel patto
- Applicazioni del periodo di prova
- Agevolazioni per le assunzioni: facciamo chiarezza
È capitato a tutti coloro che hanno appena iniziato un nuovo lavoro di dover effettuare il cosiddetto "Patto di Prova" o periodo di prova presso un'azienda o un ente pubblico o qualsiasi altro soggetto che offre l'opportunitá di lavorare. Esso, in pratica, non è altro che un periodo temporale di alcuni mesi, variabile in base al tipo di lavoro effettuato, che ha lo scopo di verificare per entrambe le parti (datore di lavoro e lavoratore) la compatibilitá e l'inserimento del nuovo arrivato nell'ambiente dove svolgerá le proprie mansioni.
Di conseguenza, il patto di prova si prospetta come arco temporale in cui si approfondirá la reciproca conoscenza tra il professionista e l'ambiente e/o il suo datore di lavoro. Inoltre, tale periodo rappresenta una garanzia, di tipo contrattuale come vedremo, tra le stesse parti. Infatti, il datore di lavoro potrá verificare che il lavoratore sia in grado di adempiere alle mansioni a lui affidate, mentre quest'ultimo potrá verificare il tipo e modalitá di prestazione che verrá lui richiesta, il suo adattamento all'ambiente di lavoro e la corrispondenza tra retribuzione e tipo di lavoro.
Ricordiamo che il periodo o patto di prova ha una durata delimitata. Infatti, la normativa determina che la durata di questo periodo è di 6 mesi per tutti i tipi di lavoratori, mentre si riduce a 3 mesi per gli impiegati che non abbiano funzioni di tipo direttivo. Al di fuori di tali limiti, vigono le norme dei contratti collettivi ed individuali, con quest'ultimi tuttavia che non possono essere peggiorativi rispetto ai primi, come vedremo meglio in seguito. Comunque, cerchiamo di capire in cosa consista il patto di prova e quale sia stato l'orientamento della Giurisprudenza in materia.
La tutela dei lavoratori nel patto
Al fine di tutelare gli interessi del lavoratore, il patto di prova deve prevedere una durata massima, definita nel contratto di assunzione in base a quanto stabilito nel Codice Civile o nei CCNL. La giurisprudenza, attraverso leggi e sentenze della Cassazione ne disciplina diversi aspetti.
Vediamo di seguito i più importanti:
- La sentenza della Cassazione n. 14538 del 1999 e la n. 9536 del 1991 che definiscono il computo della durata del patto di prova. Nello specifico, se la durata del patto è definita in mesi le parti seguiranno il calendario comune.
- In tutti i casi in cui sia necessaria una sospensione dello stesso, le parti potranno far riferimento al CCNL di riferimento.
I vari casi di recesso del patto di prova
- E' considerato illegittimo il recesso da parte del datore di lavoro che non abbia ancora verificato le competenze professionali del dipendente. In tal caso si fa riferimento alle Sentenze della Cassazione n. 4979 del 6/6/1987 e la n. 1387 del 8/2/2000.
- E' considerato illegittimo il licenziamento in questo periodo se riconducibile ad un motivo illecito o estraneo al rapporto di lavoro. In tal caso il dipendente ha il diritto di ottenere l'annullamento del recesso (Sent. Cass. 12/3/1999, n. 2228) o a terminare la prova ed ottenere la retribuzione relativa ai giorni residui del patto di prova.
- Il licenziamento in questo periodo può essere comunicato anche oralmente.
Altri casi in cui la giurisprudenza definisce i limiti di illegittimità del licenziamento in prova
La giurisprudenza è spesso intervenuta nella definizione e precisazione dei limiti e delle situazioni che determinano un licenziamento in fase di prova illegittimo.
Innanzitutto, l’art. 2096 del codice civile (C.C.) prevede la forma scritta per la stipula di un periodo di prova e in mancanza di questa, il patto di prova stesso può considerarsi nullo e l’assunzione del dipendente si può considerare definitiva. Segue una carrellata di casi giurisprudenziali in merito ai periodi di prova:
- In un impiego pubblico, il patto di prova può ritenersi strettamente limitato alla valutazione esclusiva dell’idoneità allo svolgimento delle mansioni del lavoratore e non altro in quanto la natura del patto stesso è legata alla sola valutazione che lo rende obbligatorio e non facoltativo (Tribunale di Milano, 26 gennaio 2012, Giud. Perillo pubblicato in Lavoro nella giur. 2012 - 413)
Inoltre, il patto di prova non costituisce una fattispecie negoziale in due tempi per cui si costituiscono due “contratti” separati di cui uno di prova e l’altro definitivo, bensì è da intendersi come atto unitario di rapporto di lavoro ordinario, produttivo, effettivo e definitivo subordinato all’esito della prova, per cui il contratto si intende come una prosecuzione al termine della prova e non come una costituzione del rapporto di lavoro dopo la prova.
Una delle ultime recenti pronunce piú importanti, riguarda proprio, come dicevamo all'inizio, i casi di diversità tra contratti individuali e quelli collettivi. La Corte di Cassazione, nella sua sezione Lavoro, con l'Ordinanza nº 9798 del Maggio 2020 ha dichiarato che il periodo o patto di prova maggiore presente in un contratto individuale, rispetto alle norme collettive, è valido soltanto in alcune circostanze limitate, ad esempio quando le mansioni da affidare siano particolarmente complesse e tutto ciò deve peró essere provato dal datore di lavoro.
Onestà del datore di lavoro
Un datore di lavoro onesto non abusa del potere di recesso se:
- non ha effettivamente verificato le competenze professionali del lavoratore;
- il periodo di prova non è risultato sufficiente a verificare l’idoneità dell’impiegato;
- l’esito negativo della prova è dovuto all’affidamento di mansioni superiori rispetto a quelle pattuite.
Se il recesso viene considerato illegittimo, il lavoratore ha diritto a terminare il periodo di prova e ad ottenere il pagamento dei giorni che mancano alla data di fine prefissata.
Un altro caso di illegitimità si ha quando, durante la prova, il datore di lavoro intima il licenziamento per motivi illeciti o estranei al rapporto di lavoro. In questo caso, il lavoratore può opporsi dimostrando la non sussistenza di questi fatti e ottenendo l’annullamento del recesso (Sent. Cass. 12/3/1999, n. 2228).
Nei casi in cui è previsto, il licenziamento può avvenire in forma orale. E’ necessaria la forma scritta solo quando sono trascorsi 6 mesi, in quanto non si tratta più di periodo di prova ma di assunzione vera e propria.
Applicazioni del periodo di prova
Esso si può applicare in casi particolari, in base alla condizione del lavoratore.
Se il lavoratore è un:
- apprendista, il periodo di prova non può superare i due mesi e viene stabilità prima o al momento dell’assunzione. Dopo i due mesi, l’assunzione diventa definitiva;
- dirigente: in questo caso il rapporto viene regolamentato dal CCNL di settore;
- disabile: la durata del periodo di prova può essere superiore rispetto a quella prevista dal CCNL.
Il periodo di prova si può applicare anche nei casi in cui il lavoratore abbia un contratto a tempo part-time con l’azienda stessa dove farà la prova, oppure un contratto a tempo determinato ma anche un contratto di formazione e lavoro.
Dettagli sulla retribuzione
Chi pensa che il periodo di prova non debba essere retribuito sbaglia di grosso! Secondo la normativa, questo periodo può durare al massimo 6 mesi per le categorie generiche e tre per chi dovrebbe poi assumere un ruolo direttivo, ma molto dipende dal proprio CCNL e dalla tipologia di lavoro.
Entrando nel merito della retribuzione, questo periodo va pagato dal datore di lavoro, al di là dei risultati raggiunti. Inoltre, un lavoratore in prova matura comunque ferie, tredicesima ed eventualmente quattordicesima se prevista e ovviamente il TFR, che sarà riconosciuto al termine del periodo professionale. Questo vuol dire, quindi, che anche chi è in prova dovrebbe essere regolarmente assunto con apposito contratto e avere una busta paga, dove ci saranno tutte le voci che abbiamo elencato prima.
Ovviamente questo significa anche che, come in ogni rapporto di lavoro, anche il periodo di prova può termine prima della sua scadenza naturale per volontà del datore di lavoro o del dipendente stesso. L’azienda può infatti decidere di interrompere il rapporto lavorativo senza per questo dover osservare periodi di preavvisi particolari, se non quello – ma lo aggiungiamo noi – della normale cortesia. In genere, un datore di lavoro può ricorrere al licenziamento di chi è in prova, qualora si sia già reso conto che la risorsa è completamente inadatta alla mansione che dovrebbe assolvere e dunque non ha senso continuare così. Ovviamente, questo è possibile soltanto nel caso in cui nel contratto di assunzione non sia previsto anche un periodo di prova minimo oltre che massimo che andrà – in questo caso – rispettato fedelmente. Inoltre, il licenziamento da parte dell’azienda può diventare illegittimo laddove il lavoratore non sia stato messo nella condizione di superare la prova e cioè:
- se non ha avuto il permesso di assolvere alla prova
- se la prova ha avuto impedimenti discriminatori o comunque non lavorativi.
Per fare qualche esempio pratico: se vieni assunto per un periodo di prova e poi ti viene chiesto di adempiere a mansioni completamente differenti, praticamente non sei nelle condizioni di svolgere la tua prova, così come se venissi mobbizzato per qualsiasi motivo.
Se invece sei tu a volerti dimettere, sei nelle condizioni di farlo, senza doverti giustificare più di tanto, ma servirà comunque una lettera di dimissioni.
Ma chiudiamo con una domanda importante: dopo il periodo di prova cosa fare? Dipende da quello che accade, se, cioè, ci sia l’intenzione di continuare il rapporto lavorativo e trasformarlo in un vero contratto di lavoro. Qualora nessuno ti comunica nulla e continui a recarti al lavoro, puoi praticamente considerarti assunto al 100%.
Agevolazioni per le assunzioni: facciamo chiarezza
Trovare lavoro non è un’impresa facile, soprattutto perché la concorrenza al giorno d’oggi è alta: perché allora non investire nella propria formazione e aumentare le proprie conoscenze per risaltare in mezzo a tanta altra gente?
Le agevolazioni per le assunzioni del 2017 sono state numerose ma lo sono anche quelle concesse nel 2018 alle imprese che assumono e ai lavoratori che rispondono a determinati requisiti, sono destinati varie agevolazioni sotto forma di: bonus, crediti di imposta, incentivi, sgravi fiscali e contributivi, ovviamente con validità su tutto il territorio nazionale. Le categorie dei datori di lavoro interessate sono: tutte le imprese private, le società cooperative, anche per l'assunzione di soci lavoratori e le imprese sociali ex D.lgs. n. 155/2006. Le categorie dei lavoratori interessate sono: giovani, giovani genitori, over 50, disabili, donne, disoccupati, cassa integrati, detenuti, sostituiti, apprendisti.
La Legge di Bilancio 2018 aveva introdotto un nuovissimo incentivo per le imprese che veniva chiamato bonus strutturale per le assunzioni dei giovani e riguardava tutti i ragazzi di età non superiore a 35 anni e, a partire dal 2019, under 30. Questo, però, non era l'unico bonus previsto per il 2018 a favore dell'occupazione, infatti, all'epoca era in vigore, e fu regolamentato con il decreto ANPAL e la successiva circolare INPS, lo sgravio per l'assunzione al SUD ma anche il bonus NEET, cioè l'ex Garanzia Giovani, per l'assunzione degli apprendisti e agevolazioni per le cooperative sociali. Inoltre, la Legge di Bilancio 2018 aveva introdotto una nuova agevolazione per l'assunzione di donne e di rifugiati. Quindi, anche per le assunzioni che partivano dal 1° gennaio 2018 era possibile beneficiare di una vasta serie di sgravi fiscali diretti ad abbattere i costi del lavoro e, in qualche caso, si rendeva utile valutare quale, fra i diversi tipi di agevolazioni possibili, conveniva richiedere.
Il Bonus giovani genitori e le assunzioni under 35
Ai giovani genitori di figli minori o affidatari di minori spetta un bonus da 5.000 € a patto che rispettino i seguenti requisiti:
- Essere iscritti presso la banca dati INPS della propria zona di residenza.
- avere un'età non superiore a 35 anni
- essere genitori di almeno un figlio minore
Al datore di lavoro che assume giovani genitori di figli minori che abbiano i requisiti sopra descritti, con un contratto a tempo indeterminato, anche se parziale o che comunque faccia una trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto lavorativo a termine in corso di svolgimento, spetta un bonus che si riscuote tramite conguaglio del relativo credito nella dichiarazione Uniemens. Per ogni assunzione o trasformazione di contratto, il datore di lavoro beneficia di un bonus di 5.000 € per un massimo di 5 tra assunzioni e trasformazioni.
Invece, per quanto riguardava le assunzioni degli under 35, la nuova Legge di Bilancio aveva previsto uno sgravio dei contributi del 50%. A fornire le disposizioni attuative e operative ci aveva pensato l’Inps mediante la circolare numero 40 del 2 marzo 2018 che confermava, appunto, lo sgravio contributivo per le nuove assunzioni dei giovani sino a 35 anni, che sarebbe sceso a 30 anni a partire dal 1 gennaio 2019. Il bonus spettava esclusivamente a coloro che non erano mai stati titolari di un altro rapporto di lavoro con tempo indeterminato. L’importo dell’esonero contributivo era fruibile nel limite di 3.000 euro l’anno e, erano da ristabilire i parametri a seconda della data e dell’orario di lavoro che avrebbero compreso i contributi previdenziali che erano a carico del datore di lavoro, invece, erano esclusi i premi ed i contributi INAIL. Il bonus veniva riconosciuto per un anno anche nel caso di mantenimento del servizio dal 1 gennaio 2018 dei lavoratori che non avrebbero compiuto i 36 anni di età alla fine del periodo di apprendistato.
Sono agevolate tutte le assunzioni che vengono effettuate con i contratti di:
- assunzione stabile di contratto con tempo indeterminato;
- trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine;
- prosecuzione dei contratti di apprendistato professionalizzante a contratti con tempo indeterminato solo a patto che il lavoratore non abbia compiuto 30 anni alla data della prosecuzione.
Bonus assunzioni al sud
Un'altra agevolazione fruibile nel 2018 era il cosiddetto bonus Sud, cioè uno sgravio previsto per le assunzioni che venivano effettuate dalle imprese situate nelle regioni Basilicata, Abruzzo, Campania, Molise, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia. Al datore di lavoro del settore privato che avrebbe assunto un disoccupato del Sud con il contratto a tempo indeterminato spettava uno sgravio totale sui contributi previdenziali, per una cifra massima di 8.060 euro applicata su base mensile per 12 mesi e fruibile entro il 29 febbraio 2020. Il bonus Sud era diretto al datore di lavoro privato che effettuava una nuova assunzione con contratto a tempo indeterminato di un giovane fra 16 e 34 anni o di un disoccupato da almeno 6 mesi che avesse oltre 35 anni.
Lo sgravio fiscale del 100% viene riconosciuto per massimo di 12 mesi a seconda delle tipologie di assunzione seguenti:
- contratto con tempo indeterminato,
- apprendistato professionalizzante oppure di mestiere (in questo caso potrebbe essere interessante capire anche quanto si guadagna con uno stipendio da contratto di apprendistato);
- trasformazione a tempo indeterminato dei contratti con tempo determinato.
Inoltre, questa agevolazione sarà cumulabile con il suddetto bonus giovani 2018.
Agevolazioni assunzioni anche per altre categorie di lavoratori
- Sgravio fiscale anche per assumere giornalisti iscritti all’INPGI
- Pensionati
- lavoratori e lavoratrici over 50
- lavoratori disabili
- giovani genitori
- beneficiari del trattamento NASP
- programma “Garanzia Giovani”
- Bonus Giovani
- iscritti alle liste di mobilità.
Assunzione Donne e Over 50 disoccupati
Donne e i cosiddetti Over 50 se appartengono alle seguenti categorie, se assunti danno il diritto di ottenere uno sgravio contributivo alle imprese che li assumono: sgravio del 50% sui contributi INPS e INAIL per 12 mesi se il contratto è a tempo determinato, di 18 mesi se a tempo indeterminato, e che da queste assunzioni derivi veramente un numero di posti di lavoro superiore.
- Over 50 se disoccupati da almeno sei mesi con residenza in regioni svantaggiate.
- Se disoccupati da almeno 12 mesi residenti in regioni non svantaggiate.
- Donne se disoccupate da almeno sei mesi con residenza in regioni svantaggiate, assunte, anche con contratto a tempo determinato.
- Donne se disoccupate da oltre 2 anni residenti in regioni non svantaggiate.