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Il richiamo disciplinare nel lavoro rappresenta la serie di atti che il datore di lavoro può compiere e i procedimenti da impugnare qualora il lavoratore adotti dei comportamenti scorretti. Vediamo cosa può realmente fare il nostro datore di lavoro per "punirci".

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In primis, i provvedimenti disciplinari impugnati dal datore del lavoro devono essere:

  • proporzionati alla gravità dell’infrazione commessa,
  • tener conto del tipo di rapporto di lavoro (CCNL)
  • tener conto dell’atteggiamento (in linea generale) del dipendente.

L’argomento è abbastanza complesso e tramite questo articolo daremo tutte le informazioni necessarie da dover seguire sia dalla parte del datore di lavoro che del dipendente, con infine una casistica relativa a una recente sentenza della Corte di Cassazione.

I provvedimenti disciplinari del lavoro: quali sono quelli realmente in vigore?

Si tratta di una serie di passaggi che il datore di lavoro può intraprendere per salvaguardare i propri diritti e garantire che il lavoratore adempia ai suoi obblighi e rispetti gli impegni assunti. Questo processo disciplinare può essere avviato dal datore di lavoro attraverso varie misure come l'ammonimento scritto, la multa o la sospensione. Situazioni in cui il datore di lavoro può intraprendere tali azioni includono il mancato rispetto dell'orario di lavoro o delle norme antifumo, il danneggiamento dei locali o delle attrezzature aziendali, la violazione di regole o l'uso inappropriato delle risorse aziendali. In base alla gravità della condotta del dipendente, il datore di lavoro può adottare varie azioni correttive. Queste possono variare da misure più "soft" come la lettera di richiamo, fino alla misura più estrema del licenziamento disciplinare, che rappresenta la sanzione più severa che il datore di lavoro può applicare in caso di gravi infrazioni commesse dal dipendente.

In sintesi, il datore di lavoro può decidere diverse sanzioni in risposta a un comportamento inappropriato del dipendente. Queste sanzioni possono includere un rimprovero, sia scritto che verbale, o una multa che non può superare l'equivalente di quattro ore di salario. Inoltre, il datore di lavoro può sospendere il salario e l'attività del dipendente per un periodo massimo di dieci giorni. Infine, è possibile il trasferimento del dipendente, ma solo in presenza di contratti regolati da un CCNL e a condizione che le funzioni nel nuovo posto di lavoro siano equivalenti a quelle svolte precedentemente.

La lettera di richiamo 

Il datore di lavoro, nella lettera di richiamo, deve adottare un tono oggettivo, formale e chiaro; tutto questo per tutelarsi davanti alla legge. Le regole principali da seguire per stilare una lettera di richiamo sono:

  1. Indicazione del comportamento non tollerato,
  2. Richiesta di cambiamento dell’atteggiamento illegittimo,
  3. Informazione circa le eventuali conseguenze giuridiche.

Per questo motivo si usano tre aggettivi nella contestazione scritta da parte del datore di lavoro: specifica, immediata e immutabile. Tale addebito può essere consegnato al lavoratore sia a mano che tramite raccomandata.

La sentenza della Cassazione sui richiami disciplinari

Con un’importante sentenza di fine agosto 2014, la Corte di Cassazione ha confermato la validità del giudizio della Corte d’Appello e prima ancora del Tribunale di Brescia di primo grado per quanto riguarda la sospensione dal servizio e la mancata retribuzione dello stipendio per il lavoratore per un totale di dieci giorni. Il motivo che aveva portato a tale sanzione era stato un ritardo di mezzora sul posto di lavoro e a nulla è valso il fatto che il dipendente in questione aveva recuperato quella mezzora dopo la fine del proprio turno di lavoro.

Cosa prevede lo Statuto

E’ lo Statuto dei Lavoratori a disciplinare questi aspetti, sia per quanto riguarda il Codice interno da dover rispettare che per le sanzioni alle quali si può incorrere. Lo Statuto spiega che prima che venga applicata in modo effettivo la sanzione, al lavoratore è concesso un periodo massimo di cinque giorni per dare le giustificazione scritte del proprio comportamento, spiegazioni che possono avvenire anche in forma orale con l’aiuto di un rappresentante sindacale. A parte il rimprovero scritto, in tutti i casi elencati nel precedente paragrafo, il datore di lavoro deve contestare la scorrettezza del comportamento del proprio dipendente tramite forma scritta concedendo un lasso di tempo (cinque giorni) al lavoratore per giustificare tale sanzione e relativo provvedimento disciplinare.
Se si finisce per impugnare il provvedimento fino alle autorità competenti, la sanzione rimane sospesa fino a che l’intero procedimento non giunge a conclusione.

Richiamo disciplinare, come si risponde

Come abbiamo già visto, il richiamo disciplinare è relativo a delle violazioni che non vengono considerate gravi nell’ambito della disciplina aziendale. Dunque, non serve andare nel panico per una cosa del genere o pensare che la propria carriera sia finita per sempre, perché difficilmente una lettera di contestazione o un richiamo disciplinare saranno seguiti automaticamente dalla lettera di licenziamento (Se desideri acquisire ulteriori informazioni a riguardo, ti invitiamo a leggere il nostro articolo sulla lettera di licenziamento per la colf).

. In ogni caso, è bene sapere che nel caso in cui riceviamo un richiamo disciplinare, sia orale che per iscritto, abbiamo cinque giorni di tempo per rispondere. Se lo reputiamo necessario possiamo farci aiutare da un sindacato, specialmente se la contestazione riguarda materie tecniche o specifiche. Attenzione per, perché i canonici 5 giorni per la risposta si allungano a dieci per il comparto del credito cooperativo e a quindici per quello assicurativo. Ma entriamo nel merito della risposta e di qualche consiglio utile. Il primo suggerimento è di rispondere utilizzando un tono civile ed educato, dobbiamo comunicare che siamo pronti a un confronto civile e, se abbiamo sbagliato, a riconoscere il nostro errore. Sarà bene anche dare un’occhiata al regolamento aziendale che viene citato nel richiamo per il comportamento che si contesta. Se abbiamo violato la normativa con un fatto accertato, ammettiamo la nostra colpa, scusiamoci ed eventualmente spieghiamo la motivazione che ci ha indotto all’errore. Se così fosse, è il momento migliore per esporre eventuali problemi, ma senza esagerare. 

Nel caso in cui, invece, riteniamo di aver ricevuto la contestazione a torto, sarà opportuno spiegare il nostro punto di vista. Questo è sicuramente un caso più delicato del primo e la strategia migliore è di essere molto precisi nel riportare i fatti e le nostre ragioni. La risposta, infatti, può essere accettata dal nostro datore di lavoro, oppure rifiutata. In quest’ultima circostanza, se sussistono gravi motivi, il datore di lavoro potrebbe addirittura procedere con un vero e proprio provvedimento disciplinare entro i successivi dieci giorni. Se invece non riceviamo a nostra volta nessuna risposta durante questa finestra di dieci giorni, possiamo considerare la situazione conclusa senza nessuna conseguenza. Attenzione però: possiamo eventualmente anche decidere di non rispondere affatto al richiamo disciplinare. Tuttavia, il nostro silenzio significherà l’accettazione tacita di eventuali conseguenze al richiamo disciplinare da parte dal datore di lavoro. Se poi, ci domandiamo se sia più opportuno rispondere a voce o per iscritto, molto dipende dalla situazione e anche dalla gravità di quanto ci è stato contestato. Un colloquio potrebbe agitarci o essere una formula troppo soft in alcune situazioni che richiedono, magari, una risposta più ferma e istituzionale.

E se si arriva al licenziamento illegittimo?

Il lavoratore può opporsi alla sanzione disciplinare comunicatagli in due modi. Promuovendo, entro 20 giorni dall'inizio della sanzione, la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato al fine di ottenere la revoca o la conversione del provvedimento oppure impugnando la sanzione sul lavoro davanti l'autorità giudiziaria. La sanzione rimane tuttavia sospesa fino a che l’intero procedimento non sia giunto a sua naturale conclusione.

Gli step delle sanzioni disciplinari sono:

  • la contestazione. Ovvero l'atto con il quale il datore di lavoro, a conoscenza dell'infrazione compiuta dal lavoratore, contesta l'addebito a quest'ultimo. 
  • la difesa. Ovvero il diritto del lavoratore, entro 5 giorni dalla ricezione della contestazione, la propria difesa in forma orale o scritta.
  • irrogazione della sanzione, ovvero l'intimidazione della sanzione disciplinare che segue la contestazione dell'infrazione. In questa fase il lavoratore viene a conoscenza del tipo di sanzione disciplinare scelta dal datore.
  • impugnazione del provvedimento.

La situazione diventa invece più complicata sul tema dei licenziamenti illegittimi. L’argomento è oggetto di revisione da parte del Governo Renzi, con il famoso articolo 18 al centro del dibattito. Già il Governo Monti, due anni fa, aveva attenuato gli effetti dell’articolo 18, valevole solo per i licenziamenti discriminatori e lasciando ampia discrezionalità ai giudici in quelli disciplinari, scegliendo tra il reintegro o l’indennizzo economico. L’esecutivo vuole specificare meglio questi casi, visto che ora il giudice deve verificare se i motivi alla base del licenziamento sono legittimi o se una sanzione più morbida poteva essere più adeguata a quel contesto. Il Governo inoltre vuole radicalmente cambiare il licenziamento per motivi economici: in questi casi verrebbe abolito il reintegro in azienda, sostituito con un indennizzo che varia a seconda dell’anzianità di servizio prestata presso quella società. L’idea è quella di un indennizzo uguale a uno-tre mesi per ogni anno in cui si è lavorato in quell’azienda, con l’aggiunta del Tfr che però è tema ancora più acceso di scontro tra le parti politiche.

Resterebbe il reintegro invece per i licenziamenti discriminatori, ossia quelli basati su sesso, religione, orientamento politico o appartenenza ad altre etnie. L’intenzione del Governo è quello di uniformare la materia sui licenziamenti e sulle tutele che in questo momento si possono dividere in due categorie: aziende con più di quindici dipendenti ed aziende che invece sono sotto questa soglia. Per quest’ultime, infatti, non sono previste le tutele così come recita l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e per questa ragione Renzi vuole uniformare i due ambiti: tuttavia c’è da registrare un forte scontro con i sindacati e una parte dei partiti politici che hanno bocciato la famosa riforma del Jobs Act.

Come si può difendere il lavoratore da queste penalità

sanzione disciplinare

Quando parliamo di sanzioni disciplinari, dobbiamo anche far riferimento agli strumenti che il lavoratore ha a sua disposizione per difendersi da un’eventuale procedura disciplinare. La sanzione, infatti, senza una normativa ben precisa in materia potrebbe essere utilizzata anche in modo arbitrario e proprio per scongiurare questa ipotesi la legge prevede comunque una tutela nei confronti del dipendente. Inoltre, la procedura della sanzione fa sì che il potere del datore di lavoro non sia illimitato e nello stesso che si possa instaurare un contraddittorio a garanzia del lavoratore.

Pensiamo ad esempio a una lettera di contestazione, in questo caso il lavoratore deve essere ascoltato entro 5 giorni successivi dal ricevimento della contestazione stessa. Se, invece, la sanzione disciplinare determina o avviene in una fase in cui il rapporto lavorativo non sia più in essere, come nel caso di una malattia o di un infortunio, i termini decorrono da quando viene meno la causa che ha bloccato il rapporto di lavoro. Dunque, come prima fondamentale tutela, il dipendente può a ragione chiedere di essere ascoltato dal proprio datore di lavoro a cui sta il dovere di decidere un giorno e un’ora per il momento del contraddittorio. D’altro canto, il lavoratore può difendersi nel modo che ritiene più adatto alla propria persona e al proprio caso, dunque per iscritto o a voce.

Tra le tutele riservate dalla normativa al dipendente c’è anche la mancata difesa, che non va letta, in ogni caso, come acquiescenza alla contestazione. In linea di massima, comunque, la propria giustificazione o versione dei fatti andrebbe presentata sul luogo di lavoro o nell’azienda, evitando, quindi, lo studio di un avvocato o qualunque luogo estraneo al contesto lavorativo. Inoltre, il dipendente può eventualmente farsi affiancare da un rappresentante sindacale. A volte può accadere che un datore di lavoro accetti anche che il dipendente sia aiutato nella propria spiegazione da una persona che non sia un sindacalista, ma la normativa non lo prevede. Infine, un chiarimento anche in merito al contraddittorio, poiché, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il datore di lavoro non deve fornire alcun elemento al lavoratore sul quale si basa la contestazione disciplinare.

Questo può avvenire solo quando il dipendente se ritiene ingiusta la sanzione decide di andare in giudizio e quindi si procede con il necessario collegio di conciliazione e di seguito con l’arbitrato. In ogni caso, qualora avvenga un incontro tra datore di lavoro e dipendente, sarebbe opportuno per entrambe le parti provare quantomeno a spiegare le reciproche posizioni e le motivazioni, così da tentare una soluzione rapida e indolore per tutti.

Se vuoi essere consapevole dei tuoi diritti come dipendente, clicca qui e leggi sul ruolo svolto dalla direzione territoriale del lavoro.

Autore: Laura Perconti

Immagine di Laura Perconti

Laureata in lingue nella società dell’informazione presso l'Università di Roma Tor Vergata, Laura Perconti segue successivamente un Corso in Gestione di Impresa presso l'Università Mercatorum e un Master di I livello in economia e gestione della comunicazione e dei nuovi media presso l'Università di Roma Tor Vergata.

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