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Buongiorno dalla Redazione di AreaLavoro. Dopo avervi illustrato alcuni dettagli sulla Pensione ai superstiti, oggi vi proponiamo un nuovo articolo.

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Nel panorama legislativo italiano, una delle tematiche che ha visto nel tempo un'evoluzione significativa è quella pensionistica. Si tratta di un argomento che tocca la vita di milioni di persone, e che rappresenta un pilastro fondamentale per la sostenibilità economica e sociale del Paese. Questo articolo si propone di delineare un percorso attraverso le ultime riforme pensionistiche italiane, analizzandone l'origine, le motivazioni e l'impatto sul sistema previdenziale nazionale.

Dalla riforma Dini del 1995 alla riforma Fornero del 2011, fino alle più recenti innovazioni, l'Italia ha attraversato periodi di profondo cambiamento nel settore pensionistico. Queste riforme, spesso oggetto di accesi dibattiti politici e sociali, hanno cercato di bilanciare la necessità di garantire adeguati livelli di sostegno economico agli anziani, con l'urgenza di mantenere la sostenibilità del sistema previdenziale nel lungo termine.

Accompagnateci in questo viaggio storico-legislativo per comprendere meglio come si è evoluto il diritto alla pensione in Italia, e quali sfide e opportunità attendono il Paese in questa fondamentale area di politica sociale.

2012: abolita la pensione di anzianità: i dettagli

A partire dal 1° gennaio 2012, la pensione di anzianità non esisteva più. Era stato abolito il meccanismo delle quote così come la finestra di scorrimento di 12 mesi di attesa (finestra mobile). Per coloro che avevano perfezionato i requisiti per l'accesso alla pensione a decorrere dal 1° gennaio 2012, la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata decorrevano dal 1° giorno del mese successivo alla maturazione dei requisiti. Era richiesta la cessazione di qualsiasi tipo di attività lavorativa alle dipendenze di terzi alla data di decorrenza della pensione. Non era, invece, richiesta la cessazione dell'attività svolta in qualità di lavoratore autonomo. Per quanti avessero voluto approfondire l'argomento, era suggerito di visionare la sezione dedicata dell'Inps.

Aggiornamenti del 2014 sul sistema pensionistico

Il tema delle pensioni in Italia era molto sensibile perché la platea era vasta e si andavano a toccare degli interessi molto delicati. A ciò si aggiungevano poi alcune categorie privilegiate all'interno di questo settore, come le pensioni d'oro, che aumentavano la forbice tra chi incassava assegni anche sotto i mille euro e chi invece guadagnava migliaia di euro in una sola mensilità. Di recente, il dibattito aveva conosciuto diverse proposte all'interno della maggioranza dell'esecutivo, con il sottosegretario al Ministero dell'Economia Baretta che aveva pensato a una fuoriuscita dei lavoratori che erano in procinto di andare in pensione (un'uscita anticipata) con una riduzione dell'assegno pensionistico.

Questo progetto avrebbe dovuto diminuire il carico della riforma Fornero del 2012 che aveva scatenato furibonde polemiche sull'alzamento dell'età per andare in pensione. All'interno della riforma per le pensioni, dall'esecutivo si stava pensando di allargare il bonus degli 80 euro (che attualmente era destinato per i lavoratori dipendenti che guadagnavano uno stipendio compreso tra 8 mila e 24 mila euro annui) anche ai pensionati.

Era un modo per andare incontro alle esigenze di questa categoria dove si trovavano delle differenze troppo marcate. Infatti, c'era chi guadagnava 500 euro o poco più nonostante una vita di versamenti all'Inps, e chi invece arrivava a percepire 91 mila al mese. Si parlava delle cosiddette pensioni d'oro, assegni pensionistici che facevano da contraltare ad assegni miseri. Si era parlato in passato di un contributo di solidarietà su questi assegni per reperire risorse: sarebbe stato un atto giusto e umile per diminuire la forbice e aiutare soprattutto chi non arrivava neanche a 1000 euro mensili.

Il caso della quota 96

La riforma Fornero ha gettato nel panico coloro che non avevano i giusti requisiti per andare in pensione all’introduzione di questa legge e soprattutto gli insegnanti. Per quest’ultimi infatti vigeva la famosa quota 96, ossia la somma degli anni con quella dei contribuiti doveva raggiungere questa soglia. Il Governo Monti ha abolito il suddetto limite e in questa situazione precaria si sono trovati di conseguenza migliaia di insegnanti. L’esecutivo punta a trovare una soluzione per questo problema e non sono pochi i casi di docenti che si incatenano in segno di protesta per far sentire la loro voce e alzare un fascio di luce che possa portare alla fine di questa delicata questione.

La pensione di cittadinanza in base al reddito

Con la vittoria del Movimento 5 stelle nelle elezioni politiche che si svolsero il 4 marzo 2018, si affacciò sempre più la possibilità di richiedere, nell'ambito del lavoro, la pensione di cittadinanza 2019. Questa prevedeva un aumento fino a 780 euro per coloro che erano titolari dell’assegno sociale, delle pensioni minima e di invalidità e per tutti i pensionati che ricevevano un assegno inferiore alla soglia di povertà, appunto 780 euro, fissata dall’ISTAT.

La pensione di cittadinanza (si veda anche il calcolo del reddito di cittadinanza) divenne realtà a partire dal 1 gennaio 2019 per ben 4,5 milioni di persone. Infatti, il Governo Conte, stava già lavorando alla prossima Legge di Bilancio in cui era contenuta una nuova riforma pensioni 2019 che, previo reperimento di tutte le risorse umane ed economiche necessarie, avrebbe dovuto essere la misura migliore per superare la Legge Fornero. Tali risorse umane ed economiche si pensava di prenderle dal Fondo Sociale Europeo, l’FSE, che grazie al provvedimento che era stato approvato dal Parlamento Europeo avrebbe garantito l’uso del 20% sulla dotazione complessiva. Il suddetto provvedimento era l’A8-0292/2017, diretto alle misure destinate al contrasto della povertà.

Analizzammo quindi cos'era e come funzionava la pensione di cittadinanza, chi la poteva ritirare. Questa entrò in vigore dal 1 gennaio 2019 attraverso la Legge di Bilancio e scoprimmo le novità per i pensionati e i requisiti necessari per accedere a questa pensione personale proposta, in ambito del lavoro, dal governo di M5s e Lega. La pensione di cittadinanza rappresentava lo strumento personale per contrastare povertà ed esclusione sociale in Italia. Essa, insieme al reddito di cittadinanza, venne considerata una misura diretta a dare maggiore equilibrio alle risorse umane ed economiche che venivano destinate ad una categoria molto debole nel nostro Paese: i pensionati. Qualora un pensionato che avesse raggiunto l'età idonea ricevesse un assegno da 500 euro al mese, grazie alla pensione di cittadinanza, otterrebbe un’integrazione da 280 euro in maniera tale da raggiungere la soglia prestabilita. Questa pensione personale valeva anche per quelle di invalidità al di sotto della soglia minima.

Tuttavia, considerando il lungo iter legislativo e la difficoltà per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie all'avvio di questa importante iniziativa, modifiche potevano e furono effettuate ai diversi punti principali di quest'ultima.

Come si poteva leggere anche dal sito dell'INPS, diversamente dai requisiti del reddito di cittadinanza, già espressamente chiariti nel disegno di Legge che il Movimento 5 stelle aveva presentato al Senato, quelli inerenti alla pensione di cittadinanza avevano ancora bisogno di ulteriori chiarimenti. Potevamo già dire, però, che bisognava essere già titolari di una pensione e percepire un assegno pensione che si attestasse al di sotto di 780 euro netti, al mese. Ovviamente si doveva dimostrare di possedere i requisiti ISEE che determinavano lo stato di povertà della persona e, inoltre, l’integrazione poteva derivare da vari fattori come per esempio il numero dei componenti fiscalmente a carico nel nucleo familiare.

Per quanto riguardava proprio l'attestazione ISEE, per poter usufruire della pensione di cittadinanza una persona doveva dichiarare un reddito complessivo massimo annuo di 9.360 Euro. Inoltre, a condizionare ancor di più l'accesso a questa misura di sostegno, si stava valutando l'ipotesi di inserire tra i requisiti richiesti anche un limite al possesso di immobili di proprietà. Infatti, oltre all'abitazione di residenza, si poteva avere al massimo un'altra casa, il cui valore tuttavia non doveva superare i 30.000 Euro.

E a proposito di immobili posseduti, tra le ipotesi circolate, vi fu addirittura la possibilità che la somma di soldi o denaro elargita per raggiungere la fatidica quota di 780 Euro mensili venisse decurtata nel caso si fosse proprietari di un'abitazione. La decurtazione sarebbe stata al massimo di un paio di centinaia di Euro circa. Tali eventuali misure restrittive avrebbero avuto la conseguenza di ridurre la platea di soggetti che avrebbero potuto accedere a questa iniziativa di sostegno economico. Infatti, si parlava di circa mezzo milione di persone, rispetto agli oltre tre milioni inizialmente previsti.

Quanto spetta ai pensionati dopo anni di lavoro?

pensione di cittadinanza

L’importo spettante ai pensionati che avevano richiesto la pensione di cittadinanza 2019 per avere l’integrazione fino a 780 euro per coloro che vivono da soli, era pari a:

  • 530 euro di integrazione per coloro che percepiscono una pensione di 250 euro;
  • 480 euro di integrazione per chi che percepisce 300 euro;
  • 380 euro per coloro che percepiscono una pensione di 400 euro;
  • 280 euro per chi percepisce una pensione di 500 euro;
  • 180 euro di integrazione per coloro che percepiscono di 600 euro;
  • 80 euro di integrazione per coloro che percepiscono di 700 euro;

Come si richiedeva la Pensione di Cittadinanza

Per poter richiedere la pensione di cittadinanza, si doveva compilare un modulo specifico (anche in modalità online), definito SR 180, da presentare presso gli sportelli di Poste Italiane oppure in un qualsiasi Centro di Assistenza Fiscale (CAF) o Patronato autorizzati. Coloro che, invece, avevano a disposizione un computer, potevano presentare la domanda per via telematica sul sito dell'INPS oppure direttamente sul portale del Governo dedicato al Reddito di Cittadinanza.

Tuttavia, per poter usufruire di tali ultime modalità, bisognava avere a disposizione ed accedere attraverso le credenziali SPID, cioè del Sistema Pubblico di Identità Digitale. Medesima modalità anche per poter verificare lo stato o la situazione della propria richiesta di pensione di cittadinanza, sempre sul sito internet dell'INPS. Comunque, eventuali variazioni della situazione personale o familiare, inerenti ad esempio redditi o possesso di immobili, dovevano essere comunicati a questo ente, sempre con tale modalità, attraverso altri moduli, quali l'SR 181 e l'SR 182.

A richiedere la pensione di cittadinanza poteva essere un cittadino italiano o di qualsiasi Stato UE; un familiare di questi che godesse del diritto di soggiorno, anche permanente; un cittadino di Paesi Terzi che avesse un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo oppure un apolide che usufruisse di medesimo permesso; il titolare di protezione internazionale. Poi, era necessaria la residenza sul territorio italiano da almeno 10 anni (di cui gli ultimi due in maniera continuata) e non essere sottoposti a misure cautelari personali o essere stati condannati per alcuni reati specifici.

Taglio alle pensioni d’oro del 2019: ecco come funziona davvero

Il sogno di ciascun lavoratore, dopo anni di sacrifici, è quello di raggiungere la pensione e potersi godere serenamente la propria vita. Ma, alcune persone ottengono soltanto il minimo indispensabile per una vita dignitosa, invece altre possono permettersene una molto più ricca e spensierata. Questi ultimi sono quelli che sono riusciti a conquistare, grazie alla tipologia di professione esercitata o grado dirigenziale raggiunto, le cosiddette pensioni d'oro.

Nel corso di questi anni, considerando la crisi economica che ha colpito il Paese, spesso si è proposto di effettuare anche un taglio alle pensioni d'oro, in modo da ridurre eventuali eccessive differenze rispetto a quelle di altri lavoratori e redistribuire le risorse ottenute verso quei soggetti maggiormente bisognosi della popolazione italiana. Nel 2019 quest’iniziativa si è concretizzata, non senza naturalmente costanti rimodulazioni e cambiamenti. Vediamo dunque quali sono le riduzioni previste della pensione e fino a quanto queste possono ammontare

La riforma ed i pensionati colpiti 

L'iniziativa portata avanti dalle autorità governative era quella di effettuare una riforma con un taglio alle pensioni d'oro che superavano una certa cifra prestabilita, naturalmente limitati nel tempo e trattenuti direttamente dall'assegno percepito. Questi erano graduali in base alla cifra guadagnata, nonostante negli anni precedenti vi fossero stati pareri discordanti in merito, permettendo di porre tale iniziativa sotto la denominazione di “Contributo di Solidarietà”.

Questo particolare contributo colpiva, in base a quanto previsto dalla legge, coloro i quali possedevano un trattamento pensionistico elevato, superiore a 100.000 euro lordi annui nel 2019 ed aumentato a 100.200 euro nel 2021, ossia di circa 5 mila euro netti al mese. Oltre a questo dato relativo alla cifra percepita dal pensionato, affinché avvenisse l’applicazione del contributo di solidarietà non doveva essere rilevata l’età pensionabile. Il denaro così risparmiato veniva poi distribuito ad altri pensionati che, invece, erano stati destinatari di assegni sociali o minimi a cui veniva quindi aumentata la pensione base mensile a circa 780 euro al mese.

Naturalmente questa riduzione non colpiva coloro che percepivano pensioni di invalidità e di reversibilità, né coloro i quali erano vittime del terrorismo o del dovere e neanche coloro che non superavano la cifra mensile netta di 4.500 euro che erano la maggior parte dei pensionati italiani. Nessun taglio alle pensioni d'oro era poi previsto per gli iscritti alle casse privatizzate dei diversi liberi professionisti. A rientrare tra quei soggetti coinvolti in questa riduzione c'erano tuttavia anche i sindacalisti ed alcuni loro privilegi pensionistici.

Infatti, i contributi aggiuntivi, effettuati dagli stessi sindacati e destinati ad integrare la contribuzione dei loro dirigenti o comunque delle figure preminenti dei loro consigli direttivi, erano considerati soltanto per determinare una parte della pensione e non complessivamente. Con la conseguenza che tali sindacalisti pensionati potevano vedere l'assegno mensile considerevolmente limitato, rispetto a quanto finora ottenuto.

Gli scaglioni inizialmente previsti

Nel 2021 si assiste ai seguenti tagli dell’assegno per le parti eccedenti:

  • Del 15% per le pensioni tra i 100.200,01 e i 130.260 euro;
  • Del 25% per le pensioni tra i 130.260,01 e i 200.400 euro;
  • Del 30% per le pensioni tra i 200.400,01 e i 350.700 euro;
  • Del 35% per le pensioni tra i 350.700,01 euro e i 500.800 euro;
  • Del 40% per le pensioni oltre i 501.000 euro.

Nonostante l’iniziativa del cosiddetto taglio alle pensioni d'oro non abbia riscosso unanimi consensi sulla modalità di attuazione, le decurtazioni sono applicate fino al 2021 compreso, determinando ad oggi le stesse discussioni che vertono sugli stessi dubbi precedenti il 2019. In particolare, alcuni parlamentari richiedono ancora oggi che vi sia una revisione sulla cifra minima da cui far partire la decurtazione, altri invece richiedono un taglio alle pensioni d'oro inerente l’intero ammontare della pensione e suddiviso sulla base delle aliquote sopra citate. Questo perché le autorità governative devono tenere conto del peso del sistema pensionistico sul bilancio dello Stato, soprattutto in una fase storica di bassa crescita economica, e dall’altro lato l’esigenza di mantenere sotto controllo la situazione e gli equilibri finanziari soprattutto, senza violare le regole.

Qualsiasi siano le decisioni che verranno prese nel 2021, occorre comunque che venga prestata attenzione a non intaccare i diritti pensionistici acquisiti da diverse persone nel corso degli anni e che potrebbero dar vita a contenziosi di natura tributaria-legale contro lo Stato.

Il progetto previsto e i dubbi connessi al taglio alle pensioni d'oro

L'iniziativa del cosiddetto taglio alle pensioni d'oro non riscosse unanimi consensi sulla modalità di attuazione. Alcuni parlamentari volevano calcolare il contributo di solidarietà soltanto su quella parte dell'assegno pensionistico che superasse i 90.000 Euro lordi annui, mentre altri optavano per un taglio alle pensioni d'oro inerente l'intero ammontare della pensione e suddiviso, come detto, sulla base delle aliquote già menzionate. Incertezza vi era, invece, per quelle pensioni calcolate interamente con la modalità contributiva e che alcuni parlamentari volevano fossero escluse dal taglio.

Considerando la materia pensionistica, altamente complessa e assolutamente delicata per diversi soggetti (sia politici che singoli cittadini), era possibile che l'iniziativa di questo taglio alle pensioni d'oro e quindi del contributo di solidarietà venisse sospesa e messa da parte temporaneamente, per essere studiata ed organizzata in maniera attenta, al fine di equilibrare i diversi interessi in gioco.

Infatti, le autorità governative dovevano tener conto, da un lato, del peso del sistema pensionistico sul bilancio dello Stato, soprattutto in una fase storica di bassa crescita economica, e dall'altro dell'esigenza di mantenere sotto controllo la situazione e gli equilibri finanziari soprattutto, senza violare le regole (in alcuni casi eccessivamente rigide) che erano presenti a livello europeo e che permettevano in effetti limitati margini di manovra o di scelta da parte dei vari governi nazionali sotto questo aspetto.

Al tempo stesso, ogni progetto di legge in questo senso doveva fare attenzione comunque a non intaccare i diritti pensionistici acquisiti da diverse persone nel corso degli anni e che, in caso di effettiva modificazione e limitazione, avrebbero potuto dar vita a dei contenziosi di natura tributaria-legale contro lo Stato. Prevedibili conseguenze di tutto ciò erano il protrarsi nel tempo di tali dispute, senza peraltro la certezza di riuscire ad ottenere un risultato finale favorevole per le autorità statali.

Le novità del 2020

Nel 2020 non ci fu nessuna variazione rispetto alla riforma Fornero. Quest'ultima, infatti, aveva fissato l'età pensionabile a 67 anni, a patto di aver maturato almeno 20 anni di contributi. Per chi, invece, aveva versato contributi dopo il 1 gennaio 1996, vigeva il sistema contributivo. In ogni caso, i requisiti standard per la pensione consistevano in 42 anni e 10 mesi di contribuzione per l'uomo e uno di meno per le donne. A seguito della riforma Fornero, tuttavia, il governo formato da Lega e Movimento 5 Stelle aveva introdotto una sorta di deroga ulteriore, chiamata Quota 100, una riforma molto importante che aveva introdotto una novità sostanziale per accedere alla pensione.

Con la Quota 100, infatti, si dava la possibilità di andare in pensione nel momento in cui la somma tra età anagrafica e anni di contributi dava come risultato, appunto, il numero 100. C'erano due condizioni sufficienti e necessarie però: che l'età non fosse comunque inferiore ai 62 anni e i contributi fossero almeno uguali a 38 anni. La Quota 100 riguardava sia i dipendenti che i lavoratori autonomi, con piccole differenze. I primi, infatti, avevano una finestra semestrale per accedere alla pensione, mentre gli autonomi e i dipendenti privati avevano una finestra trimestrale. Nel corso del 2019 grazie alla Quota 100 moltissimi lavoratori, soprattutto nella pubblica amministrazione, erano potuti andare in pensione senza subire nessun tipo di penalizzazione e, anzi, riuscendo ad accedere alla pensione prima del previsto e potersi quindi godere la vita.

Inoltre, all'epoca, le donne avevano anche la possibilità di usufruire dell'Opzione Donna.

I requisiti per goderne erano:

  • avere 35 anni di contributi;
  • avere un'età minima di 58 anni per le dipendenti;
  • avere un'età minima di 59 anni per le autonome.

Questo significava andare prima in pensione, a patto però di rinunciare a parte della quota che sarebbe spettata con l'accesso normale alla pensione, poiché il valore della pensione a questo punto veniva calcolato tutto con il metodo contributivo. Questo significava, tradotto in parole povere, essere disposte a rinunciare a una fetta consistente del proprio assegno mensile pur di andare via prima dal lavoro e godersi la pensione. L'Opzione donna godeva di una finestra considerata mobile, che consisteva in 12 mesi per chi lavorava da dipendente e 18 mesi per le lavoratrici autonome.

La combinazione fra età anagrafica ed anni di contributi: la Riforma delle pensioni "quota 100"

Con il termine Quota 100 si intendeva la proposta diretta ad anticipare l'età pensionabile dei lavoratori che erano regolarmente iscritti ai fondi di previdenza che gestiva l'assicurazione generale obbligatoria, ovvero l'AGO; alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, alla gestione separata per i fondi sostitutivi e per quelli esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria. Questa idea trovava le basi partendo dal presupposto di cercare di ripristinare il vecchio sistema che prevedeva le quote e che fu abolito, nel 2011, dalla Riforma Fornero. In questa maniera si consentiva al lavoratore la possibilità di sommare la sua età anagrafica agli anni in cui si erano percepiti i contributi per raggiungere così un valore che consentisse l'uscita. Parlando della quota 100, appunto, la somma fra l'età e i contributi doveva far risultare, come diceva il nome stesso, il valore 100. Tale proposta era stata molto appoggiata dall'attuale Governo Conte che intendeva superare la legge Fornero. L'idea era quella di inserirla nell'imminente legge di bilancio in maniera tale che la proposta potesse partire già dai primi mesi del 2019.

L'obiettivo, però, era quello di partire con lo schema 62+38 quell'anno e "accontentare" circa mezzo milione di italiani; poi apportare le relative modifiche per iniziare un percorso che azzerasse, negli anni successivi, tout court la legge Fornero per arrivare, come aveva affermato Salvini, a quota 41 pura. A Palazzo Chigi era stato studiato un dossier che prevedeva una combinazione unica necessaria per centrare l'uscita e cioè 62 anni di età con 38 anni di contributi. Inoltre, almeno in base a quanto dichiarato recentemente dal leader della Lega Matteo Salvini, non sarebbe stata applicata alcuna penalità sulla misura dell'assegno e nemmeno un tetto per la contribuzione figurativa valorizzabile allo scopo del perfezionamento del sopracitato requisito contributivo. Secondo una stima del Governo, già nei prossimi anni, il posto di lavoro sarebbe potuto essere lasciato da circa 400mila lavoratori, soprattutto uomini. Questo perché per le donne, veniva prorogata l'Opzione Donna, la quale consentiva alle lavoratrici di 58 anni, qualora dipendenti, oppure 59 anni, qualora autonome, di andare in pensione con 35 anni di contributi.

Questa misura poteva anche essere accompagnata dal progetto di ripristino del divieto di cumulo fra il reddito da lavoro e la pensione fino al raggiungimento dell'età necessaria per la pensione di vecchiaia, ovvero 67 anni.

La rigidità di questo mix fra l'età anagrafica e quella contributiva, però, rischiava di avere dei risvolti come ad esempio la possibilità che un assicurato che aveva 36 anni di contributi versati e 64 anni


La Quota 100 era una riforma pensionistica che era entrata in vigore nel 2019 e sarebbe continuata fino al 2021, consentendo a molti lavoratori di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro rispetto ai tempi previsti dalla legge italiana. Tuttavia, la Quota 100 non stabiliva gli stessi parametri per tutte le categorie di lavoratori. Per i dipendenti privati, nel 2020, la prima finestra per fare domanda di pensionamento con la Quota 100 si sarebbe aperta il 1° aprile, a condizione di aver già raggiunto l'età minima di 62 anni e di aver versato almeno 38 anni di contributi entro gennaio 2020.

La seconda finestra, invece, si sarebbe aperta a luglio di quell'anno. I lavoratori pubblici, invece, dovevano dare un preavviso di 6 mesi per andare in pensione con la Quota 100, e la prima finestra si sarebbe aperta il 1° aprile 2020, ma tenendo conto dei 6 mesi di preavviso, avrebbero dovuto aspettare almeno fino al 1° luglio per andare effettivamente in pensione. Ma quali erano i requisiti per accedere alla possibilità di andare in pensione anticipata tramite la Quota 100? Anche per il 2020, i requisiti sarebbero rimasti gli stessi dell'anno precedente e sarebbero rimasti invariati anche per il biennio successivo, 2021-2022. Tuttavia, in seguito, ci si poteva aspettare qualche cambiamento, in vista di un aumento della quota di qualche cifra, almeno stando alle anticipazioni circolate durante la stesura dell'ultima Legge di Bilancio. Ma andiamo ora nel dettaglio dei requisiti per la Quota 100 nel 2020:

  • 62 anni e 38 anni di contributi;
  • 62 anni e 39 anni di contributi (quota 101);
  • 62 anni e 40 anni di contributi (quota 102);
  • 62 anni e 41 anni di contributi (quota 103).

Questo rappresentava un notevole anticipo rispetto ai requisiti di accesso ai criteri di pensione anticipata, che erano di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Ciò significava che la riforma che aveva introdotto la Quota 100 aveva permesso un notevole abbassamento dei requisiti di età pensionabile. Bastava pensare che quest'anno si poteva andare in pensione con la quota 100 già con soli 38 anni di contributi versati e appena 62 anni di età. Quindi, un lavoratore che aveva iniziato a lavorare nel 1984 a 29 anni, poteva tranquillamente andare in pensione favorendo anche un elevato ricambio generazionale, specialmente nella pubblica amministrazione.

Era comprensibile, quindi, l'attrattiva della Quota 100, specialmente per coloro che, con meno di 41 anni di contributi, fino a qualche anno prima, vedevano ancora lontana la possibilità di raggi.

finanza

Pensioni 2023: niente più quota 100

La quota 100 è stata eliminata perché ha comportato un significativo aumento del debito pubblico e una riduzione della copertura finanziaria del sistema pensionistico. La misura ha infatti consentito a molti lavoratori di accedere alla pensione prima del previsto, riducendo così la durata dei contributi e la contribuzione al sistema pensionistico. Questo ha aumentato il fabbisogno finanziario del sistema, rendendo necessario un intervento per riequilibrare le finanze pubbliche e garantire la sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo.

Come è strutturato il nuovo sistema di pensionamento italiano?

Il nuovo sistema di pensionamento in Italia, introdotto nel 2019, si basa sul sistema di "pensione a punti". Questo sistema prevede che il montante pensionistico di un lavoratore sia costituito dalla somma di punti accumulati durante la vita lavorativa, calcolati sulla base dei contributi versati e delle retribuzioni percepite. Per poter accedere alla pensione, è necessario raggiungere una soglia minima di punti e avere un'età anagrafica determinata. L'età di pensionamento dipende dall'anno di nascita e sarà progressivamente aumentata fino a raggiungere i 67 anni per tutti nel 2026.

Principali Novità per le pensioni

Sul fronte delle pensioni, il 2023 è un anno ricco di novità sia per i pensionati che già percepiscono l’assegno sia per quanti devono verificare i calcoli dei contributi versati e maturati ai fini pensionistici, sia pensione di vecchiaia che anticipata.
La prima novità riguarda l’introduzione di “Quota 103” che sostituisce sia Quota 102 che quota 100 del biennio precedente. La nuova “quota” prevede un innalzamento dei requisiti per il pre-pensionamento e introduce limiti all’importo dell’assegno pensionistico e al cumulo con altri redditi da lavoro. Anche Opzione Donna è stata modificata con introduzione di limiti sui requisiti per le aventi diritto, vincolate al numero dei figli. Il nuovo calcolo per l’assegno pensionistico si basa su tre elementi e variabili: l’indicizzazione delle pensioni, il limite dell’assegno minimo e i nuovi coefficienti di trasformazione.

Come funziona Quota 103

La Legge di Bilancio 2023 ha approvato e introdotto il nuovo calcolo pensionistico “Quota 103” e riguarda tutti i lavoratori che nel 2023 maturano tutti e due i requisiti di 62 anni di età e 41 anni di contributi. Coloro che entro il 31 dicembre 2023 raggiungono i requisiti potranno richiedere il pensionamento secondo Quota 103. Il provvedimento serve a coloro che – avendo raggiunto la quota – possono anticipare il pensionamento di cinque anni, dal momento che in circostanze diverse il requisito anagrafico previsto per la pensione di anzianità è fissato a 67 anni. Tuttavia, chi accede al pensionamento tramite Quota 103, non potrà cumulare redditi da lavoro a quello da pensione, ovvero chi si pensiona con Quota 103 non potrà lavorare fino al raggiungimento dell’età di 67 anni (vale a dire l’età per richiedere la pensione di vecchiaia). L’unico reddito cumulabile è quello derivante da rapporti di lavoro occasionali il cui importo lordo annuo non superi 5000 € complessivi.
Un ulteriore limite previsto da chi richiede il pre-pensionamento tramite Quota 103 è un limite sull’importo dell’assegno pensionistico il quale non dovrà superare 5 volte la pensione minima e per un limite massimo di 36.643 € l’anno, pari a circa 2818 € lordi al mese, inclusa tredicesima. Il limite decade al compimento dei 67 anni, per cui se l’importo della pensione dovesse risultare superiore alla soglia imposta da Quota 103, l’assegno verrà finalmente corrisposto per intero. Stando alle stime del Governo, i lavoratori potenzialmente interessati ad accedere al pre-pensionamento e aventi entrambi i requisiti nel 2023 sono 50 mila.

Se desideri ottenere maggiori informazioni, ti suggerisco di dare un'occhiata a questo approfondimento sulle pensioni quota 96.

Autore: Laura Perconti

Immagine di Laura Perconti

Laureata in lingue nella società dell’informazione presso l'Università di Roma Tor Vergata, Laura Perconti segue successivamente un Corso in Gestione di Impresa presso l'Università Mercatorum e un Master di I livello in economia e gestione della comunicazione e dei nuovi media presso l'Università di Roma Tor Vergata.

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